Lo stabilimento di Potenza si ferma per la situazione di mercato della Jeep Renegade, agitazione dei Cobas per i turni di Cassino. La Uilm torinese: “Serve un nuovo modello a Mirafiori per dare una soluzione a 800 lavoratori in esubero”
Agitazioni per eccesso di lavoro da una parte, sospensione della produzione per le “temporanee situazioni del mercato” dall’altra. Il calendario di Fca presenta in sequenza ravvicinata appuntamenti “fisiologici” per l’azienda, che rimettono però al centro dell’attenzione il rapporto tra lavoratori e industria in una stagione di riflessione – comune ad altri settori, basti citare i casi dell’Ilva o di H&M solo per richiamare gli ultimi esempi – sulla materia dello sciopero.
In Fiat Chrysler le ultime novità riguardano gli stabilimenti di Melfi (Potenza) e Cassino (Frosinone), con uno sguardo su Mirafiori. Nel primo caso ai sindacati è stato spiegato che a causa di una “temporanea situazione di mercato”, la produzione di “Jeep Renegade” da Melfi sarà sospesa dal 26 al 29 luglio prossimo e gli addetti saranno collocati in cassa integrazione. L’annuncio è stato dato nelle scorse ore dalla la segretaria regionale della Basilicata dell’Ugl metalmeccanici, informata a sua volta dalla direzione aziendale. Si tratta di una nuova finestra di stop, che si aggiunge a quella che si apre oggi, 29 giugno, per terminare il prossimo 2 luglio. Secondo l’Ugl, nonostante la sospensione della produzione della “Jeep Renegade” sia legate “a motivi congiunturali”, è “indispensabile” avviare un confronto con l’azienda che abbia come obiettivo finale “la tutela e la salvaguardia occupazionale di tutto il sistema dell’automotive lucano”. Nei giorni scorsi la Fim Cisl si era detta fiduciosa sul raggiungimento del target di piena occupazione promesso dall’ad Sergio Marchionne, ma ha fatto notare che “su Melfi entro il 2018 serve un nuovo modello, meglio se elettrico o ibrido, per assicurare la piena occupazione nello stabilimento” e puntare allo sviluppo nel futuro.
Se a Melfi si chiede di progettare l’occupazione degli anni a venire, a Cassino i sindacati di base preparano una manifestazione davanti ai cancelli per denunciare che “la Fiat vive alla giornata, fa lavorare metà di noi a ritmi impossibili e con pause ridotte e l’altra metà la tiene a casa con gli ammortizzatori sociali”. Lo hanno scritto in una nota congiunta a firma di Si Cobas Fca Pomigliano, Usb Fca Melfi, Cub Fca Melfi/Basilicata, Operai autorganizzati Fca Termoli, “Un gruppo di operai iscritti a Fiom Cassino”, “Usb Fca Termoli”, Cobas Fca Mirafiori e Cobas lavoro privato. Nella nota si mettono in relazione le diverse sorti degli stabilimenti: “A Melfi dal 29 giugno tutta la fabbrica sarà in cassa integrazione, e altri operai deportati a Termoli”. L’accusa all’azienda è di “spremere il limone il più possibile e fino a quando può. A Termoli si sciopera contro i sabato: stanno spremendo e massacrando gli operai a 20 turni con sabato e domenica lavorativi”. I Cobas attaccano a testa bassa le maggiori sigle della rappresentanza: “I sindacati filo aziendali le reggono il gioco. Nonostante non ci sia nessuna prospettiva reale per il futuro, osannano le parole dell’amministratore delegato sull’annuncio, in un futuro più o meno prossimo, di nuove produzioni che assicureranno la piena occupazione negli stabilimenti italiani. Tutto pur di tenere gli operai tranquilli. Il solito trucco che va avanti da oltre un decennio”.
Con toni ben diversi, la Uilm torinese ha posto negli ultimi giorni sul tavolo la questione di Mirafiori: “Si avvicina il termine degli ammortizzatori sociali per gli 800 lavoratori delle Carrozzerie di Mirafiori che, nonostante l’avvio produttivo del Maserati Levante, non sono ancora rientrati in fabbrica”, ha sottolineato il segretario generale Dario Basso in vista del termine dei contratti di solidarietà, il cui utilizzo dovrà concludersi entro il prossimo settembre. “Prendiamo per buone le parole dell’amministratore delegato di Fca sul ritorno alla piena occupazione alle Carrozzerie di Mirafiori. Finora alle dichiarazioni sono seguiti gli investimenti, è un percorso virtuoso che non deve interrompersi per non arrivare con l’acqua alla gola alla fine degli ammortizzatori sociali. Rimangono 800 lavoratori in esubero per i quali servono soluzioni immediate. Per raggiungere l’obiettivo della piena occupazione nel 2018 allo stabilimento serve un nuovo modello”.
Solo pochi giorni fa dai libri contabili della Fca Italy (ex Fiat auto) consultati da Radiocor è emerso che l’azienda, nel 2016, ha investito circa 1,25 miliardi di euro, di cui 85 milioni a Melfi. L’anno scorso si è chiuso per Fca Italy con perdite nette per oltre 1,11 miliardi di euro, in miglioramento rispetto a un ‘rosso’ per più di 1,6 miliardi nel 2015, e perdite operative per oltre 1,16 miliardi (erano 1,45 miliardi nel 2015). I ricavi sono saliti del 13,5% a 26,07 miliardi “grazie all’incremento di volumi delle vetture, dei veicoli commerciali e ad un più ampio portafoglio prodotti”. In particolare Fca Melfi ha registrato un utile per 56,7 milioni circa, da 50,67 milioni un anno prima, su ricavi pari a 5,35 miliardi (-4,43%) grazie al successo di Jeep Renegade e di Fiat 500x. A Melfi è stato raggiunto uno dei livelli produttivi più elevati nella storia dello stabilimento a 379mila unità.
Resta, come accennato, una fase calda anche per molti altri lavoratori di grandi gruppi italiani ed internazionali e di interi settori economici, che hanno rimesso al centro del dibattito pubblico la necessità di rivedere le norme che regolano le proteste. Lo sciopero del trasporto pubblico locale previsto per il 26 giugno scorso è stato differito a seguito dell’intervento del ministero, dopo che il venerdì nero di metà mese aveva fatto intervenire direttamente Graziano Delrio che ha chiesto nuove regole e detto che il Paese “non può esser ostaggio di minoranze”. Molto duro rispetto alle posizioni dei Cobas recentemente anche Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera, secondo il quale “nessuno vuole toccare i diritti, ma ora vanno fermati”. Una posizione non condivisa dalla leader della Cgil, Susanna Camusso, per la quale non serve assolutamente intervenire sul diritto di sciopero, quanto piuttosto una legge sulla rappresentanza visto che “i tanti scioperi, soprattutto nei trasporti, sono dovuti alla mancata retribuzione dei lavoratori e ai mancati rinnovi contrattuali, tutte ragioni per le quali non c’è nessuna motivazione che possa far intervenire sul diritto di sciopero”.
Dal quotidiano Repubblica